IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza,  ai sensi dell'art. 23,
legge  11 marzo 1953, n. 87, nella causa proposta da Parmalat S.p.a.,
in   amministrazione   straordinaria,   in  persona  del  commissario
straordinario  dott.  Enrico Bondi, parte attorea, con l'avv. Alberto
Maffei  Alberti, contro Cassa di risparmio di Pisa S.p.a., in persona
del suo legale rappresentante, Roberto Guzzelloni, convenuta, con gli
avv.ti   G.  Iannaccone,  L.  Finocchiaro  del  Foro  di  Milano,  G.
Maghenzani Taverna e A. Pangrazi Liberati.
    Il  Giudice  istruttore  dott. Pietro Iovino, letti gli atti ed a
scioglimento  della  riserva,  osserva  in fatto ed in diritto quanto
segue.

                              F a t t o

    Con  atto  di  citazione  ritualmente notificato, Parmalat S.p.a.
esponeva che, con decreto del Ministro delle attivita' produttive del
24   dicembre   2003,   era  stata  assoggettata  alla  procedura  di
amministrazione  straordinaria ex d.l. n. 347/2003 (conv. nella legge
n. 39/2004)  e  d.lgs. n. 270/1999; che con sentenza depositata il 27
dicembre  2003,  l'intestato  Tribunale aveva dichiarato l'insolvenza
della  societa' attrice, con estensione della procedura concorsuale a
Parmalat  Finanziaria  S.p.a.  ed  a  quasi  tutte  le altre societa'
riconducibili alla famiglia Tanzi; che la societa' aveva intrattenuto
con  Cassa  di risparmio di Pisa S.p.a. un rapporto di conto corrente
bancario in corso nell'anno anteriore al 24 dicembre 2003.
    Chiedeva, quindi, revocarsi ai sensi dell'art. 67, secondo comma,
l.f.,  applicabile  in  virtu'  del  richiamo  operato  dal combinato
disposto  degli  artt. 6 d.l. n. 347/2003 e 49 d.lgs. n. 270/1999, le
rimesse  in  conto corrente, pagamenti ed accrediti in genere portati
in  diminuzione  dell'esposizione  debitoria  nel  corso  del periodo
sospetto   per  l'importo  complessivamente  indicato  in  citazione,
chiedendo,  quindi,  la  condanna  della  banca  al  pagamento  della
corrispondente  somma  ovvero  di quella diversa risultante nel corso
del processo.
    Costituitosi ritualmente in giudizio, l'Istituto, pur affrontando
per  completezza  il  merito  della  causa  col  negare il fondamento
dell'azione revocatoria, ha sollevato le eccezioni pregiudiziali di:
        1.  incostituzionalita'  sia  dell'intero  d.l.  n. 347/2003,
conv. in legge n. 39/2004 e successive modifiche sia dell'art. 6 d.l.
cit.  in  relazione  agli  artt. 41, laddove si consente l'ammissione
delle   imprese   in   crisi   alla   procedura   di  amministrazione
straordinaria  in  assenza  di  qualsivoglia  verifica sull'effettiva
risanabilita'  delle  stesse imprese, e 3, 24, laddove si consente la
proponibilita' dell'azione revocatoria fallimentare anche in presenza
della   prosecuzione   dell'esercizio   dell'impresa,   della   Carta
Costituzione;
        2.  inapplicabitita'  dell'art. 6  cit.  in  quanto in palese
violazione del divieto di aiuti di Stato di cui all'art. 87 (gia' 92)
del Trattato CE.
    In  proposito  giova  ricordare che questo stesso Tribunale nella
persona  del  G.I.  dott.  Nicola  Sinisi,  con distinte ordinanze 18
novembre  2005  e 27 dicembre 2005, ha gia' sollevato la questione di
costituzionalita',   dichiarandola  rilevante  e  non  manifestamente
infondata, cosi' rimettendo gli atti alla Consulta.
    Questo  stesso  G.I.  ritiene  condivisibile tale giudizio per le
seguenti  ed  in  parte  coincidenti  ragioni,  gia'  ritenute con le
suddette  ordinanze  e  per  quelle  che  andranno  ulteriormente  ad
esplicarsi.

                            D i r i t t o

A. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
    La  rilevanza  e'  insita  nella  possibilita' stessa di proporre
l'azione revocatoria di cui all'art. 67 l.f., richiamato dall'art. 49
del   d.lgs.   n. 270/1999,   pur   in   presenza  di  autorizzazione
all'esecuzione  del  programma di ristrutturazione. Tale possibilita'
e'  concessa,  appunto,  dall'art. 6, comma 1, d.l. 23 dicembre 2003,
n. 347, conv. con mod. in legge 18 febbraio 2004, n. 39, e succ. mod.
(per  il  proseguimento anche legge Marzano), senza la cui previsione
tale azione non sarebbe altrimenti proponibile, come meglio si vedra'
in seguito.
    In  particolare  le  stesse  conclusioni di parte attrice rendono
rilevante  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 6,
comma   1,   cit.,   in   quanto,  una  volta  eliminata  tale  norma
dall'ordinamento   non   sarebbe  piu'  possibile  proporre  l'azione
revocatoria intentata, giova ribadirlo, ai sensi e per gli effetti di
cui all'art. 67 l.f.
    La  rilevanza  riverbera, poi, anche sotto il profilo del computo
dei  termini  del  cosi'  detto periodo sospetto, cosi' come previsti
dall'art. 6, comma 1-ter, cit., in quanto e' evidente che, qualora si
superasse  la  questione  precedente,  nel corso del processo sarebbe
indispensabile   esaminare  i  crediti  revocandi  a  partire  da  un
determinato  momento  storico  in  poi,  integrante, appunto, il gia'
detto  periodo  sospetto,  all'interno del quale deve ricadere l'atto
solutorio  oggetto  dell'azione revocatoria. E' evidente, quindi, che
tale  aspetto potra' essere esaminato, perche' rilevante, soltanto in
caso di mancato accoglimento del precedente rilievo.
B.   Non  manifesta  infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale
    1.  -  Assunta  incostituzionalita'  dell'art.  6, comma 1, legge
Marzano per contrarieta' ai principi di cui all'art. 3 Cost.
    La  Corte  costituzionale  ha,  in piu' occasioni, sancito che il
principio d'eguaglianza inibisce al legislatore di operare arbitrarie
discriminazioni  fra  soggetti  in  situazioni identiche o affini; il
giudizio  di  legittimita' costituzionale, ai sensi dell'art. 3 Cost.
ha,  pertanto,  ad  oggetto  la  ragionevolezza delle classificazioni
legislative.
    Per   valutare   il  rispetto  del  principio  d'uguaglianza,  e'
fondamentale  l'esatta  identificazione  degli interessi sottesi alle
norme  messe a raffronto: se esse coinvolgono interessi omogenei, per
essere  gli  stessi  partecipi  di  fattispecie identiche o analoghe,
assicurandosi  cosi'  una  tutela  di  diversa  intensita' (senza che
esista  un  ulteriore  interesse  atto  a  giustificare due i diversi
regimi  di  tutela),  la  norma  che  tutela  in  maniera diversa gli
interessi  comuni  ad  entrambe,  dovra'  reputarsi  irragionevole  e
contraria al precetto costituzionale di cui all'art. 3 cit.; laddove,
invece,  gli interessi sottesi non siano omogenei dovra' considerarsi
irragionevole  una  disciplina  di  tipo identico od analogo, che non
tenga   conto   delle  disuguaglianze  fra  le  situazioni  di  fatto
disciplinate.
    La  giurisprudenza  costituzionale  ha,  piu'  volte,  dichiarato
l'illegittimita'  di  norme  di  legge per violazione del solo art. 3
Cost., senza la necessita' di rilevarne il conflitto con altri valori
costituzionali (cosi', ad es., le sentenze n. 260 del 23 luglio 1997,
n. 162  del  28  maggio  2001, n. 254 del 20 giugno 2002), in ragione
dell'evidente  rilevanza assegnata al principio di ragionevolezza nel
senso  indicato,  quale parametro fondante il precetto costituzionale
d'eguaglianza.
    Nell'ipotesi  in  esame, vanno messi a raffronto gli articoli 6 e
4-bis  del  d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in legge 18
febbraio 2004, n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119,
conv.  con mod. in legge 5 luglio 2004, n. 166 e dal d.l. 28 febbraio
2005,  n. 22,  conv.  con  mod. in legge 29 aprile 2005, n. 71, e gli
artt. 49  e  78  del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (in prosieguo anche
legge Prodi bis).
    Entrambi  i provvedimenti regolano la procedura d'amministrazione
straordinaria,  applicabile  alle  imprese  di  grandi dimensioni che
versino  in  stato  d'insolvenza,  perseguendone  la ristrutturazione
economica  e  finanziaria,  a difesa degli interessi dei lavoratori e
dei  fornitori,  oltre che dei creditori; essi si differenziano nelle
sole  fasi  d'ingresso e nei requisiti dimensionali d'ammissione alla
procedura  (cfr. artt. 1 d.l. n. 347/2003 e 2 d.lgs. n. 270/1999), in
termini  di  personale  ed  ammontare  dei  debiti,  senza che a tali
differenze   possa   assegnarsi   il   rango   della   ragionevolezza
costituzionalmente  necessario  a  preservarne  il sindacato sotto il
profilo indicato.
    In particolare, come osservato dalla unanime dottrina, comparando
i  richiamati  presupposti,  si  ricava  che  in  tutti i casi in cui
risulta  applicabile  la legge Marzano e' sempre applicabile anche la
legione  Prodi  bis, e l'opzione per l'una o per l'altra procedura e'
rimessa,  dal  legislatore  interamente  alla  impresa insolvente, la
quale   manifesti  l'intenzione  di  «avvalersi  della  procedura  di
ristrutturazione economica e finanziaria di cui all'art. 27, comma 2,
lettera  b)  del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270». In altri
termini   legge   Marzano   rimette   alla  sola  impresa  insolvente
l'iniziativa    d'apertura    della    procedura,   nell'intento   di
salvaguardare  e  perseguire con immediatezza quello stesso programma
di  ristrutturazione  economica e finanziaria, cui la legge Prodi bis
da'  ingresso  solo in esito alla fase di valutazione delle «concrete
prospettive  di  recupero  dell'equilibrio  economico delle attivita'
imprenditoriali» di cui agli artt. 27-30 della citata legge.
    Il  richiamo  alla  legge Prodi bis rende, pertanto, evidenti gli
estremi  di  stretta  continuita'  esistenti  con  la  legge Marzano,
ponendosi  questa  come opzione ulteriore dell'impresa insolvente, il
cui  mancato  esercizio  da  parte  del  debitore non preclude il suo
assoggettamento  alla  procedura regolata dal d.lgs. n. 270/1999, con
il  perseguimento  - secondo il diverso snodo procedurale ricordato -
della  medesima  finalita'  quale  indicata  dall'art. 1 della citata
legge,  nella  «ristrutturazione  economica  e finanziaria previsto e
disciplinato dall'art. 27, secondo comma, lett. b)».
    Al   riguardo,  va  osservato  come  le  innovazioni  legislative
introdotte dalla legge Marzano tendono a dare maggiore celerita' alla
fase  d'ammissione  dell'impresa  alla  procedura (art. 2, Ammissione
immediata   all'amministrazione   straordinaria)   senza,   peraltro,
alterare  sostanzialmente i caratteri funzionali della procedura, che
restano  pur  sempre  comuni  alla  legge  Prodi bis, quale normativa
generale di riferimento, cui la legge Marzano fa espresso rinvio.
    Infatti,  uno  dei  primi interrogativi che hanno interessato gli
interpreti  e'  stato  quello di stabilire se il d.l. n. 347/2003 sia
l'espressione  di  una  nuova  procedura  concorsuale,  una  sorta di
tertium genus tra la procedura d'amministrazione straordinaria di cui
alla  legge Prodi bis e le restanti procedure concorsuali, ovvero non
sia  altro  che  una  particolare  modalita'  applicativa  e, quindi,
sostanzialmente  una  sottospecie, dell'amministrazione straordinaria
di  cui  alla  legge  Prodi  bis.  Stando  al  tenore letterale delle
premesse  del  decreto  stesso,  dove  si  fa  espresso riferimento a
«misure  integrative  e correttive della normativa vigente in materia
d'amministrazione   straordinaria   delle  grandi  imprese  in  stato
d'insolvenza»,  non  puo'  che  darsi  preferenza  alla seconda delle
riferite  opzioni ermeneutiche, cosi' evidenziando come gia' fatto da
autorevole  dottrina che la novella introdotta dalla legge Marzano fa
riferimento   ad   una   procedura   che   va  certamente  ricondotta
all'amministrazione  straordinaria  vigente  pur se le deviazioni dal
modello  comune, non rilevanti certo dal punto di vista quantitativo,
appaiono in alcuni tratti veramente qualificanti.
    Cio'  posto  in  via  di  analisi del tessuto normativo in esame,
venendo   all'oggetto  del  presente  giudizio,  entrambi  i  sistemi
normativi  prevedono la possibilita' di esperire l'azione revocatoria
di  cui all'art. 67 l.f., ma in forza delle ricorrenza di estremi fra
loro non serenamente conciliabili.
    In  argomento,  e'  noto  il dibattito giurisprudenziale apertosi
dopo l'emanazione della legge n. 95/1979 (c.d. legge Prodi), sfociato
in  una  ferma  posizione assunta dalla suprema Corte sul punto (cfr.
l'arresto  27  dicembre  1996,  n. 11519), che indusse il legislatore
alla  sostituzione  del  regime  istituito  con la legge del 1979 con
quello della c.d. Prodi bis, escludendo espressamente la possibilita'
per  il  Commissario  straordinario di proporre le azioni revocatorie
fallimentari nel corso della fase di risanamento dell'impresa.
    L'art. 49,  comma  1,  d.lgs. n. 270/1999, prevede, infatti, che:
«le azioni per la dichiarazione di inefficacia e la revoca degli atti
pregiudizievoli   ai  creditori  previste  dalle  disposizioni  della
sezione  III  del  capo  III  del  titolo II della legge fallimentare
possono  essere proposte dal commissario straordinario soltanto se e'
stata  autorizzata  l'esecuzione  di  un  programma  di  cessione dei
complessi aziendali».
    Detta   previsione   normativa  ha  reso  il  nostro  ordinamento
nuovamente   in   linea   con  le  finalita'  connaturate  all'azione
revocatoria  fallimentare,  la  quale mira, appunto, a ricostruire il
patrimonio  dell'imprenditore (secondo la teoria indennitaria) ovvero
a   ripartire   la   perdita   derivante   dall'insolvenza   tra  una
collettivita'  di  creditori piu' ampia rispetto ai soli soggetti che
si  trovano  ad  essere tali al momento dell'apertura della procedura
(teoria    anti-indennitaria);    duplice,   dunque,   la   funzione:
recuperatoria  e  redistributiva,  inconciliabile  con  procedure non
finalizzate alla liquidazione bensi' alla conservazione dell'impresa,
nelle  quali  in  pendenza di risanamento, non vi e' un patrimonio da
ripartire tra i creditori, ne' una perdita da ridistribuire.
    L'art. 6,  comma  1,  cit.  dispone,  nella  versione  da  ultimo
faticosamente  raggiunta,  che  «il  commissario  straordinario  puo'
proporre  le azioni revocatorie previste dall'art. 49 e 91 del d.lgs.
n. 270  anche nel caso di autorizzazione all'esecuzione del programma
di  ristrutturazione,  purche'  si  traducano  in  un vantaggio per i
creditori».  Non e' del tutto inutile pero' ricordare che la versione
originaria  prevedeva  la  possibilita'  di  avvalersi  delle  azioni
revocatorie  anche dopo l'autorizzazione all'esecuzione del programma
di    ristrutturazione,    purche'    funzionali   al   perseguimento
dell'obiettivo del risanamento.
    Ci  si  trova  ed  a maggior ragione ci si trovava nella versione
originaria,  di  fronte  ad  una  rinnovata estensione dell'ambito di
applicazione  dell'azione  revocatoria  fallimentare,  prevedendo  la
possibilita',  per  il Commissario straordinario, di esperirla in una
procedura  finalizzata  alla  ristrutturazione  ed alla conservazione
dell'impresa  (come  palesato  dagli  artt. 1  d.l.  n. 347 e 4 legge
n. 39/2004),  interrompendo  cosi'  immotivatamente  quel  legame  di
continuita'  prima evidenziato tra finalita' concretamente perseguite
dalla procedura e strumenti alla stessa connessi.
    Quanto  precede  comporta,  a  parere  di  chi  giudica,  la  non
manifesta infondatezza dei profili d'incostituzionalita' dell'art. 6,
comma   1,   d.l.  n. 347,  anche  come  da  ultimo  modificato,  con
riferimento  alla  previsione  di  cui  all'art. 49, legge Prodi bis,
rapportato  al  principio d'uguaglianza di cui all'art. 3 della Carta
costituzionale.  In particolare, il legislatore del 1999, operando un
bilanciamento  degli  interessi  coinvolti  nel dissesto della grande
impresa,  ne  aveva  limitato  l'esperibilita'  al  solo programma di
liquidazione  dell'impresa,  attuato  dagli  organi  della procedura,
espressamente  escludendola  per  il  programma  di ristrutturazione,
ritenendo  che il sacrificio patrimoniale dei terzi fosse ammissibile
soltanto in vista dell'interesse - ritenuto meritevole dell'ordinaria
tutela  concorsuale  - alla ripartizione fra tutti i creditori (anche
quelli  divenuti  tali  in  seguito  alla  revoca  dei pagamenti) del
patrimonio del debitore insolvente, secondo le regole stabilite dalla
legge a tutela della par condicio creditorum. Rendendo ammissibile la
revocatoria  anche  durante  la  fase  di  risanamento  dell'impresa,
l'art. 6,  comma 1, della legge Marzano ha ampliato il sacrificio dei
terzi,   cosi'  ribaltando  la  scelta  consapevolmente  operata  con
l'art. 49 della legge Prodi bis.
    Cio' appare privo di giustificazione se valutato alla stregua del
canone   di   ragionevolezza  costituzionale  sopra  evidenziato:  la
revocatoria  di cui all'art. 49 cit. e quella di cui all'art. 6 cit.,
per   i   motivi  esposti,  si  collocano  all'interno  di  procedure
disciplinanti  fenomeni  analoghi,  coinvolgono  interessi omogenei e
perseguono  il  medesimo obiettivo, cioe' il recupero dell'equilibrio
economico  delle  attivita'  imprenditoriali  mediante «prosecuzione,
riattivazione  o  riconversione»  (art. 1 d.lgs. n. 270/1999), per il
tramite  di  un  programma  di  ristrutturazione  senza  che sia dato
comprendere  le  ragioni  del superamento di quanto cosi' recisamente
escluso  dall'art. 49  del  cit.  d.lgs.  n. 270, secondo il quale le
azioni   revocatorie   «possono   essere   proposte  dal  commissario
straordinario  soltanto  se  e'  stata autorizzata l'esecuzione di un
programma  di  cessione  dei  complessi  aziendali,  salvo il caso di
conversione  della  procedura  in  fallimento».  La  rottura e', poi,
ancora  piu'  forte  se sol si consideri, non solo, quanto gia' detto
circa  la  natura  e  la  portata  della  novella, ossia che la legge
Marzano  non  e'  una  nuova  ed  ulteriore figura di amministrazione
straordinaria,  avulsa dal contesto generale delle norme regolanti il
fenomeno amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi,
ma  anche,  il  fatto che la finalita' prettamente conservativa della
procedura  di cui alla legge Marzano non puo' seriamente essere messa
in  dubbio,  cosi'  come  emblematicamente e' rappresentato nel testo
dell'art. 1,  laddove  si  dice  che  tale procedura si applica «alle
imprese  soggette  alle  disposizioni  sul  fallimento  in  stato  di
insolvenza    che    intendono    avvalersi    della   procedura   di
ristrutturazione economica e finanziaria di cui all'art. 27, comma 2,
lettera  b) del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270...», con la
conseguenza   che   la   suddetta  finalita'  diviene  esclusivamente
conservativa   del   patrimonio   produttivo  mediante  prosecuzione,
riattivazione o riconversione delle attivita' imprenditoriali entrate
in crisi.
    La  stessa  Corte  costituzionale,  nel  dichiarare  infondata la
questione  di  legittimita'  dell'art. 67  l.f.  in  riferimento agli
artt. 3,  24,  47  Cost., nella parte in cui assoggetta a revocatoria
anche  i  pagamenti  di  debiti  liquidi ed esigibili, effettuati dal
debitore   con   mezzi   normali   nel   periodo  c.d.  sospetto,  ha
espressamente  affermato che, con detta azione, il principio generale
della  stabilita'  dei  diritti  (con cio' intendendo l'interesse dei
terzi  a  non  subire  la  revoca dei pagamenti ricevuti) subisce una
deroga  solo  al  fine di «... tutelare le ragioni del concorso tra i
creditori  ...  il  legislatore  ha  costruito  l'azione  revocatoria
fallimentare per contemperare l'interesse dei creditori di recuperare
al  patrimonio  del  fallito  la maggiore quantita' di beni, in vista
dell'esecuzione   concorsuale,  con  quello  al  normale  svolgimento
dell'attivita'  economica ed alla stabilita' dei diritti» (cfr. Corte
cost. 27 luglio 2000, n. 379).
    Un'ulteriore  riflessione  induce  il  sospetto  di  un ulteriore
profilo  d'illegittimita'  costituzionale  della norma. Infatti, come
pur  evidenziato  da  autorevole dottrina, di fronte a due imprese in
stato  d'insolvenza,  per  le quali sia prospettabile il programma di
ristrutturazione,  pur  alla  presenza di situazioni omogenee, per il
solo  fatto  che  in  un caso la procedura si avvii su iniziativa dei
creditori  e  nell'altro caso su iniziativa dell'imprenditore rivolta
al  Ministro,  si diversfica il trattamento dei creditori e dei terzi
che  nella  seconda  ipotesi  sono  esposti al rischio dell'esercizio
delle   azioni  revocatorie.  Questa  differenza  di  trattamento  e'
ingiustificata e si mostra in palese violazione dell'art. 3 Cost., in
quanto  situazioni omogenee, per non dire identiche, sono regolate da
un regime differente. Ne' puo' dirsi che la ragione della distinzione
possa  ricondursi  alla condizione contenuta nella clausola contenuta
nell'inciso  finale  dell'art. 6,  comma 1, legge Marzano «purche' si
traducano  in  un  vantaggio  per  i  creditori»,  che nella versione
attuale  ha  sostituito  quello  originario  «purche'  funzionali  al
raggiungimento  degli  obiettivi del programma». Sia che ci riferisca
all'uno  sia  che si prenda in considerazione l'altro dei presupposti
suddetti  non  puo' seriamente dubitarsi che l'esercizio delle azioni
revocatorie  puo'  essere  funzionale,  vantaggioso  ed  utile  anche
all'amministrazione  straordinaria  delineata  nella legge Prodi bis,
dove  pero'  e' stato espressamente escluso in quanto la prosecuzione
dell'attivita'  e l'obiettivo del risanamento sono inconciliabili con
lo strumento revocatorio.
    L'irragionevolezza  della  disparita' di trattamento riservata ai
terzi destinatari dall'azione revocatoria esperita ex art. 6 in esame
risulta,  infine,  amplificata,  ove  si  consideri  come l'opzione a
favore   della   legge   Marzano   sia  sostanzialmente  rimessa  dal
legislatore  all'unilaterale  iniziativa  dell'impresa insolvente, la
quale potrebbe essere opportunisticamente motivata dalla possibilita'
di poter ricorrere a cio' che nella sostanza concretizzerebbe un vero
e   proprio   eterofinanziamento,   insito   nell'esercizio  d'azioni
revocatorie,  altrimenti  precluse  dal regime ordinario previsto dal
citato art. 49.
    La  finalita' attribuita all'azione revocatoria nell'ambito della
legge  Marzano  non  puo' dirsi esclusa dalla condizione posta al suo
esercizio  nella  versione finale, raggiunta dal legislatore dopo due
interventi   di   modifica.   Subordinare   l'esercizio   dell'azione
revocatoria al fatto che tali azioni si traducano in un vantaggio per
i creditori risulta in realta' del tutto pleonastico, posto che, come
confermato  anche  dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza gia'
citata,  l'interesse  dei  creditori costituisce l'unico ed esclusivo
bene  giuridico alla cui tutela e' preordinato l'istituto dell'azione
revocatoria  fallimentare, ragione in se' della norma e non finalita'
da   rimettere   all'esito   volubile   della  verifica  da  operarsi
concretamente caso per caso e passibile di interpretazioni rimesse di
volta in volta agli operatori.
    Ne'   la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  risulta
superata  dalle  considerazioni espresse dalla difesa della procedura
attrice,   per   la   quale  l'azione  revocatoria  prevista  sarebbe
incompatibile   con   la  finalita'  di  prosecuzione  e  risanamento
dell'attivita'  d'impresa, qualora il risanamento andasse a beneficio
dell'imprenditore  insolvente  (Parmalat  S.p.a.  in  amministrazione
straordinaria,   odierna   attrice)  -  cd.  risanamento  soggettivo;
diverrebbe  compatibile,  qualora l'attivita' d'impresa fosse ceduta,
anche   mediante   patto   di   concordato,   ad  un  soggetto  terzo
(l'acquirente   dell'azienda   o   l'assuntore)   -  cd.  risanamento
oggettivo,  in  quanto  il regime di ragionevolezza non andrebbe piu'
vagliato  con  l'art. 49,  comma  1,  d.lgs.  n. 279/1999  bensi' con
l'art. 124, comma 2, l.f.
    In  particolare,  la  difesa  attorea assume come nell'ipotesi in
esame  dovrebbe  operarsi una distinzione fra risanamento oggettivo e
soggettivo,  in  quanto la ristrutturazione di cui all'art. 27, comma
2,   lett.   b)del   d.lgs.   n. 270/1999   va   sempre  a  vantaggio
dell'imprenditore insolvente, in quanta egli resta titolare e gestore
dell'azienda  oggetto  di risanamento, donde il divieto l'esperimento
di  azioni  revocatorie,  esperimento  invece  consentito nel caso di
cessione  dei  complessi  aziendali  prevista  dall'art. 27, comma 2,
lett.  a). La ristrutturazione Parmalat mediante il concordato non va
a  vantaggio  dell'imprenditore  insolvente  (e cioe' degli azionisti
della  «vecchia» Parmalat), e sarebbe, pertanto, sotto quest'aspetto,
assimilabile   alla   cessione   dei   complessi  aziendali  prevista
dall'art. 27,   comma  2,  lett.  a),  cit.,  nonche'  al  concordato
fallimentare  con  cessione  delle revocatorie al terzo assuntore, di
cui all'art. 124 l.fall.
    Siffatta  argomentazione  poggia invero su assunti non dimostrati
ne'  convincenti,  sulla  base  dei  quali  raggiunge  risultati  non
condivisibili in quanto:
        a)  va osservato che la previsione di cui all'art 6, comma 1,
in  questione  assicura  lo  strumento  revocatorio alla procedura di
amministrazione   straordinaria   in   quanto   tale,   ossia   anche
nell'ipotesi  in cui sia perseguito il programma di ristrutturazione,
a  nulla  rilevando  che il commissario provveda al suo perseguimento
«in  via  ordinaria»  secondo  le  modalita' consuete (art. 4) ovvero
«straordinaria»,   attraverso   il  concordato,  annoverato  tra  gli
strumenti  del  programma di ristrutturazione (cfr. art. 4-bis, comma
1,  per  il  quale «nel programma di ristrutturazione, il commissario
puo'   prevedere   la   soddisfazione  dei  creditori  attraverso  un
concordato ...»).
    In  altri  termini,  l'eccezione  di  parte fonda la legittimita'
costituzionale  della  previsione  di cui all'art 6 sulla proposta di
concordato,  nella  sola ipotesi in cui lo stesso preveda un patto di
assunzione  (con dubbio richiamo ai principi di cui all'art 124, l.f.
e  superamento immotivato di ogni richiamo «mediano» agli artt. 78 l.
Prodi bis e art. 214 l.f.), concordato questo che costituisce una - e
soltanto  una  - delle possibili modalita' di attuazione del piano di
ristrutturazione,  rendendo  cosi'  evidente  come tale condizione di
assenta  legittimita'  costituzionale  vacilli  - nell'argomentazione
della   stessa   parte   -   ogni   altra   e   diversa   ipotesi  di
ristrutturazione.  Ne'  va, infine, sottaciuto come anche nella legge
Prodi  bis  sia  possibile  procedere  ad una ristrutturazione per il
tramite  di  un  concordato  proposto da un terzo, senza peraltro che
venga  alterata  la  scelta  lucidamente  operata dal legislatore del
1999,  permettendo  al  terzo  assuntore  di avvantaggiarsi di azioni
incompatibili  con  le  finalita'  della  procedura  di  risanamento.
Infatti  il  ricorso  al  concordato,  anche  nell'ipotesi  di  terzo
assuntore  di  esso, e' gia' espressamente previsto dalla legge Prodi
bis,  laddove  agli  artt. 74,  comma  1,  lett.  c)  e 78 si prevede
espressamente  il  concordato  come  una  delle  possibili  cause  di
chiusura  della  procedura  di  amministrazione  straordinaria  e  si
individuano  le  modalita'  di accesso al concordato medesimo, con il
rinvio  espresso  all'art. 214,  commi  2, 3, 4 e 5 l.f. E' piuttosto
pacifico,  oltre  che  evidente  nella  lettera della legge, che tale
misura   sia  consentita  per  entrambe  le  ipotesi  alternative  di
procedura  gia'  previste dall'art. 27, che giova ricordarlo, prevede
un  programma  di  cessione  dei  beni  aziendali (lett. a) ed uno di
ristrutturazione  dell'impresa  (lett.  b).  Tuttavia  nessuno ha mai
teorizzato che, qualora la procedura di amministrazione straordinaria
ex  legge  Prodi  bis  sia  perseguita  attraverso  il  programma  di
ristrutturazione e qualora si profili sullo sfondo la possibilita' di
un concordato, per cio' solo possa venir meno il divieto delle azioni
revocatorie    imposto   dall'art. 49.   In   dottrina   si   ammette
l'esperibilita'   delle   azioni   revocatorie  e  la  conseguente  e
successiva  cessione  di esse all'assuntore solo quando il concordato
sia   previsto   nell'ambito   di   un'amministrazione  straordinaria
realizzata  attraverso  un  programma  di  cessione  e  non  certo di
ristrutturazione.  Consegue  a cio' che il richiamo che parte attorea
fa  all'art. 124,  comma 2, l.f. si mostra piuttosto ardito se sol si
consideri  che  in  sede  fallimentare  il potere/dovere da parte del
curatore   di   far  ricorso  alle  azioni  revocatorie  non  dipende
certamente dalla possibilita' o dalla previsione di un concordato, ma
dal   fatto   che   il   fallimento   e'  una  procedura  tipicamente
liquidatoria;
        b)   il   concordato   in  esame  costituisce,  per  espressa
indicazione  di  legge  e  per  opzione  concretamente  perseguita  e
realizzata  dal  commissario  straordinario,  semplice  modalita' del
programma  di  ristrutturazione,  come  tale  inidoneo  a  sorreggere
l'assunto di parte, volto a privilegiare una considerazione del tutto
autonoma degli esiti concordatari e della normativa ad essa connessa,
rispetto  alla  legge  Marzano.  Al  riguardo, si ricorda come con la
recente   sentenza  del  1°  ottobre  2005,  questo  Tribunale  abbia
omologato il concordato ex art. 4-bis, d.l. n. 347/2003 e succ. mod.,
«con  assunzione  da  parte  della societa' Parmalat S.p.a., con sede
legale  in  Collecchio  (PR)»,  disponendo  l'immediato trasferimento
all'Assuntore  «di tutti i beni, i diritti, le partecipazioni sociali
e  le  azioni  giudiziarie promosse ...». Nella parte motiva si legge
che  «con  decreto  ministeriale  in  data 23 luglio 2004 il Ministro
delle  attivita' produttive, d'intesa con il Ministro delle potitiche
agricole e forestali, visto il parere del Comitato di sorveglianza in
data 20 luglio 2004, autorizzava il programma di ristrutturazione per
le  suddette  societa'.  In  data  29  luglio 2004, veniva depositato
presso  il  Tribunale  di  Parma  il  programma  di  ristrutturazione
autorizzato,  unitamente alla proposta di concordato e all'elenco dei
creditori  ...  la  proposta  di concordato costituisce, per espressa
previsione    normativa,    parte   integrante   del   programma   di
ristrutturazione  predisposto  dal  commissario  straordinario ... la
devoluzione   esclusiva  del  potere  di  iniziativa  al  commissario
straordinario  trova  la sua ragione giustificatrice nella necessaria
integrazione  della  proposta  di  concordato  con  il  programma  di
ristrutturazione,  mirando cosi' a contemperare le finalita' connesse
al  ripristino  di una condizione di durevole equilibrio in capo alle
societa'  in amministrazione straordinaria con le dinamiche solutorie
proprie  della  proposta  di  concordato. L'adempimento concordatario
costituisce  quindi  parte  integrante  del  piano di risanamento cui
risulta  funzionalmente  rivolto,  assumendo quindi una dimensione di
strumentalita'  nuova  per  l'istituto, in quanto la cessazione della
procedura  concorsuale  con  il  soddisfacimento  a  saldo  del  ceto
creditorio   perde   ogni  connotazione  di  esclusivita'  valutativa
normalmente  presente  nelle  varie  figure  di concordato, venendo a
contemperarsi   per  modalita',  interessi  coinvolti  e  termini  di
pagamento  con  le esigenze proprie dei processi di ristrutturazione:
in  altri  termini,  il  programma  di  ristrutturazione definisce il
perimetro delle compatibilita' solutorie assicurate dal concordato in
ragione  della  introduzione  di  una dimensione di flessibilita' e/o
mobilita' degli istituti del concorso mai prima registrata, attenuata
negli estremi di illegittima assolutezza, dalla sua ricomposizione in
una proposta concordataria capace di consenso ...».
    In  termini  ultimi,  si  ritiene che le censure d'illegittimita'
s'incentrano  sulla  disciplina  generale  della  procedura stabilita
dalla   stessa  legge  Marzano,  nell'ambito  della  quale  l'epilogo
naturale  del  processo  di  risanamento  e'  costituito  dal ritorno
dell'impresa  all'ordinaria  operativita'  industriale, a conclusione
del  programma  di  ristrutturazione  con qualunque modalita' attuato
(artt. 4  e  4-bis),  ivi  compreso  il concordato con assunzione che
costituisce un'ipotesi del tutto eventuale e residuale di conclusione
del  programma  di  ristrutturazione dell'impresa, cui il legislatore
assegna  la  sola  valenza  di determinare l'immediata chiusura della
procedura  rispetto  alla  sua  fisiologica durata ed al suo naturale
espletamento.  A  differenza  della procedura di cui alla legge Prodi
bis  quella  introdotta  dalla  legge  Marzano  vuole  essere  ed e',
null'altro  che  una procedura di ristrutturazione, come si evince da
alcuni  indici  normativi inequivoci, quali ad esempio l'art. 1, dove
si  riserva  l'accesso  alle  imprese  che  intendano avvalersi della
procedura   di   ristrutturazione  economica  e  finanziaria  di  cui
all'art. 27,  comma  2, lett. b) del d.lgs n. 270/1999 e, quindi, non
alle  imprese  che  vogliano attuare un programma liquidativo secondo
l'alternativa   prevista   dall'art. 27,  comma  2,  lett.  a)  cit.;
l'art. 2,  secondo il quale solo l'impresa insolvente, con esclusione
di  altri  soggetti,  puo'  chiedere  l'ammissione  alla procedura di
amministrazione  straordinaria  tramite  ristrutturazione economica e
finanziaria,  l'art. 4, comma 2, che obbliga alla presentazione di un
programma che per espressa finalita' di legge deve essere votato alla
ristrutturazione  economica  e finanziaria sulla base di un programma
di  risanamento,  a differenza della legge Prodi bis, che all'art. 54
prevede un piano da adottarsi secondo uno degli indirizzi alternativi
previsti dall'art 27, comma 2; l'art. 7, dove si prevede che, se alla
procedura  in  questione  intenda accedere un'impresa che operi nella
produzione,  prima  trasformazione  e commercializzazione nei settori
connessi  a  prodotti  agricoli  ed  alimentari,  il  Ministro  delle
attivita'   produttive   autorizza   l'esecuzione  del  programma  di
ristrutturazione di intesa con il Ministro delle politiche agricole e
forestali.
    Consegue  a cio' che diventa un mero artificio logico e lessicale
quello  di  distinguere  tra imprenditore ed impresa, tra risanamento
oggettivo   e   soggettivo,   tra  diversita/terzieta'  del  soggetto
assuntore del concordato ed imprenditore/proprieta' originaria, posto
che  l'impresa resta sempre identica a se stessa. La legge Marzano ha
un  unico  intento  dichiarato  e  palese: consentire un programma di
ristrutturazione   dell'impresa,   cosi'   salvaguardandola  nel  suo
complesso   e   nella   sua  individualita'  di  fattore  produttivo.
Consentire   lo   strumento  dell'azione  revocatoria  per  una  tale
finalita',  pare  a  questo  Tribunale,  operazione  che  si  pone in
contrasto  con la stessa disciplina quadro della legge Prodi bis, con
il diritto vivente e l'opinione pressocche' unanime della dottrina, e
per  quel  che  piu'  conta,  rimanendo  nell'ambito  delle finalita'
precipue  del presente provvedimento, con i principi di eguaglianza e
ragionevolezza  espressi dalla Carta costituzionale all'art. 3 e, per
quanto si dira' immediatamente dopo, con quelli espressi dall'art. 41
della Costituzione.
    2.  -  Assunta  incostituzionolita'  dell'art.  6, comma 1, legge
Marzano per contrarieta' ai principi di cui agli artt. 3 e 41 Cost.
    La  possibilita' di esperire l'azione revocatoria nel corso e per
la realizzazione della ristrutturazione aziendale, evidenzia, poi, un
ulteriore   profilo   d'irragionevolezza   della   norma   in  esame,
alterandosi  il  principio  della liberta' di concorrenza discendente
dall'art. 41  della  Costituzione,  letto  in stretta connessione con
l'art. 3  della  Costituzione  per  disparita'  di trattamento tra le
imprese operanti nel mercato.
    Come affermato in dottrina, il risanamento agevolato da misure di
sostegno   finanziario  non  puo'  considerarsi  un  vero  e  proprio
risanamento  ne'  in  senso  economico  ne' giuridico. Sotto il primo
profilo,  infatti,  il  risanamento equivale alla ritrovata capacita'
dell'impresa  di  conseguire dei ricavi superiori ai costi sostenuti:
perche'  sia effettivo, tuttavia, e' necessario che la prevalenza dei
ricavi  sui  costi  consegua  alla  capacita'  di  produrre  valore e
ricchezza  e non all'opportunistico intervento di misure esterne alle
dimensioni  interessate  dalla  sua  concreta  operativita'. Sotto il
profilo  giuridico  il  risanamento  indica  la  ritrovata  capacita'
dell'impresa di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni; se la
solvibilita' dell'impresa e' il risultato esclusivamente del positivo
esercizio  di  azioni  revocatorie  fallimentari non vi e' alcun vero
risanamento.
    Il  risanamento  dell'impresa  mediante l'esperimento dell'azione
revocatoria   fallimentare  costituisce,  quindi,  un  ingiustificato
privilegio  per  l'impresa  ammessa alla procedura ex legge Marzano e
determina un effetto distorsivo della concorrenza, in quanto permette
all'impresa insolvente di restare sui mercato sfruttando, anziche' le
proprie   capacita'   economiche,  risorse  finanziarie  precluse  ai
concorrenti.
    Detto   effetto   e'  essenzialmente  legato  alla  continuazione
dell'impresa: mentre nell'ambito delle procedure di tipo liquidatorio
le somme, eventualmente riscosse a seguito del vittorioso esperimento
dell'azione    revocatoria,    sono   esclusivamente   destinate   al
soddisfacimento   dei  creditori,  qualora  l'azione  sia  consentita
all'interno  di una procedura concorsuale di tipo risanatorio essa si
trasforma,  come  gia' visto, in una forma di finanziamento forzoso a
favore dell'impresa insolvente ed a carico dei terzi.
    La  critica  nei confronti di normative che, favorendo le imprese
in  fase di ristrutturazione, falsano la libera concorrenza non e' un
argomento  nuovo:  in  passato  sia  la  Corte  di giustizia CE sia i
giudici  italiani  hanno  piu'  volte censurato per ragioni simili la
legge   n. 95/1979,   che  conteneva  diverse  disposizioni  tese  ad
agevolare  illegittimamente  l'impresa  insolvente  (cfr.  di recente
Corte  di  giustizia  CE 17 giugno 1999 (C-295/1997), Cass. 23 giugno
2000  n. 8539,  App. Trieste 10 febbraio 2004, App. Venezia 26 giugno
2003, etc.).
    In  realta'  al  di  la' dei profili comunitari, pur rilevanti in
sede interpretativa, l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare
nell'ambito  di una procedura di ristrutturazione aziendale determina
una  forte  e  strutturale  distorsione  della libera concorrenza tra
imprese con conseguente violazione dell'art. 41 della Costituzione.
    L'instaurazione di un regime di libera concorrenza tra le imprese
e  la  sua  tutela sono strumentali all'effettiva realizzazione della
liberta'  di  iniziativa  economica  di cui all'art. 41 Cost., con la
conseguenza   che,   seppure   non   espressamente  menzionato  dalla
Costituzione,   il   principio   di   libera   concorrenza  ha  rango
costituzionale.
    Tale  linea  argomentativa e' stata fatta propria sia dalla Corte
costituzionale  che  dai  giudici  civili  ed amministrativi, i quali
hanno  ricondotto la tutela della liberta' di concorrenza all'art. 41
cit..
    «La  liberta'  di  concorrenza  tra  imprese  ha,  come noto, una
duplice  finalita':  da  un  lato,  integra la liberta' di iniziativa
economica  che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e,
dall'altro, e' diretta alla protezione della collettivita', in quanto
l'esistenza  di  una  pluralita'  di imprenditori, in concorrenza tra
loro,  giova  a  migliorare  la qualita' dei prodotti e a contenere i
prezzi»  (cfr.Corte  cost.,  16  dicembre  1982, n. 223; nello stesso
senso si veda anche Corte costituzionale 13 ottobre 2000, n. 419).
    «La  liberta'  di  iniziativa  economica  privata garantita dalla
Costituzione  (art. 41, comma 1), comprensiva anche della liberta' di
concorrenza  tra  imprese,  attiene sicuramente a materia disponibile
posto  che  e'  espressione della liberta' di scelta e di svolgimento
delle  attivita'  economiche  riconosciuta al soggetto privato» (cfr.
Cass. 21 agosto 1996, n. 7733).
    In  altri  termini,  il  principio  di  liberta'  dell'iniziativa
economica   privata   garantisce,  inter  alia,  che  ogni  operatore
economico  possa operare sul mercato in una situazione di parita' con
gli  altri  imprenditori  e  che  il  profitto, e quindi il successo,
dell'impresa  dipenda dal giudizio insito nelle dinamiche di mercato,
come costituzionalmente garantite dall'art 41 Cost.
    L'irragionevolezza  e  l'illegittimita'  di  una  disciplina  che
determini  una  discriminazione  tra  imprese in concorrenza e' stata
affermata  dalla  Corte costituzionale nella sentenza del 30 dicembre
1997  n. 443,  dichiarativa  dell'incostituzionalita', per violazione
degli  artt. 3  e  41  della  Costituzione,  dell'art. 30 della legge
4 luglio  1967,  n. 580,  nella  parte  in cui non prevedeva che alle
imprese   aventi  stabilimento  in  Italia  fosse  consentita,  nella
produzione   e   nella   commercializzazione   di  paste  alimentari,
l'utilizzazione  di  ingredienti legittimamente impiegati, in base al
diritto comunitario, nel territorio della Comunita' europea.
    Infatti,  la  sostanziale  reintroduzione  della  possibilita' di
esperire  all'interno  di  una  procedura di risanamento delle azioni
revocatorie     fallimentare,    che    abbiamo    visto    accordata
indiscriminatamente  dall'art. 6,  comma l, legge Marzano, risulta in
contrasto  con  la funzione e la struttura stessa dell'azione de qua,
cosi' come e' stato ben messo in evidenza da numerose voci dottrinali
e   giurisprudenziali   all'indomani   della   c.d.   prima  versione
dell'amministrazione   straordinaria   disciplinata  dalla  ex  legge
n. 95/1979.   In  proposito  giova  richiamare  il  principio  di  un
importante  arresto della Suprema Corte, secondo la quale «se infatti
l'azione  revocatoria  ha  come  presupposto la lesione del principio
della  parita' di trattamento dei creditori cagionato dal compimento,
da  parte  del  debitore,  dell'atto  di  disposizione  patrimoniale,
risulta  da  cio'  evidente  che la finalita' recuperatoria che a suo
mezzo  viene  esercitata,  mentre  appare  coerente con una procedura
ontologicamente   strutturata   in   vista   della  liquidazione  del
patrimonio  e del soddisfacimento delle ragioni dei creditori, non si
concilia  affatto con una procedura che nella sua connotazione tipica
e'   preordinata   alla   gestione  dell'impresa  in  vista  del  suo
reinserimento   nel   mercato.   L'ambito  operativo  dell'azione  va
necessariamente  riferito  al  momento  in  cui  inizia la fase della
liquidazione  dei beni perche' soltanto allora insorge e si impone la
necessita'  di  soddisfare  quelle  ragioni creditorie a tutela delle
quali  essa e' predisposta.» (cfr. Cass. 27 dicembre 1996, n. 11519).
Consegue   che   il   consentire  nell'ambito  di  una  procedura  di
risanamento   dell'impresa,  quale  e'  certamente  l'amministrazione
straordinaria  di  cui  alla  legge Marzano, l'esercizio dell' azione
revocatoria,   comporta   che   l'eventuale   ricavato  del  positivo
esperimento  dell'azione  revocatoria  venga  reimmesso  nel circuito
finanziario  dell'impresa,  costituendo cosi' a conti fatti una sorta
di  finanziamento a favore dell'impresa insolvente, cosi' consentendo
la  messa  a disposizione di risorse economiche che a nessuna impresa
insolvente   sarebbe   consentito  acquisire.  Non  v'e'  dubbio  che
l'attribuzione  al  commissario,  operata dall'art. 6, comma 1, legge
Marzano,  della facolta' di promuovere revocatorie nell'ambito di una
procedura   che,  pur  presupponendo  l'insolvenza  dell'impresa,  e'
univocamente e dichiaratamente volta alla ristrutturazione e, quindi,
al  proseguimento  di  essa,  piuttosto  che  alla sua espulsione dal
mercato,  configura  una  misura  di legge in violazione della libera
concorrenza  fra  imprese.  Non  solo,  infatti, l'impresa insolvente
ammessa all'amministrazione straordinaria de qua riesce ad evitare il
fallimento  e  puo'  continuare  la  propria  attivita', restando sul
mercato,  anche  quando  tale  possibilita'  e'  negata  alle imprese
concorrenti  che,  pur  insolventi,  non  abbiano  i  requisiti o non
abbiano  optato  per  la  «variante  della  legge Marzano», ma anche,
riesce a godere dell'ulteriore vantaggio derivante dalla possibilita'
di  esperire  le azioni revocatorie fallimentari, vantaggio precluso,
non  solo  ed ovviamente, alle altre imprese in bonis, non solo, alle
altre   grandi   imprese  insolventi  sottoposte  all'amministrazione
straordinaria  secondo  la legge Prodi bis, ma anche e soprattutto, a
quelle  imprese che, pur avendo i requisiti dimensionali per accedere
alla   legge   Marzano   in  concreto  non  vi  accedono  per  scelta
dell'imprenditore  insolvente  medesimo.  In  un  contesto  simile e'
evidente   che  i  proventi  delle  azioni  revocatorie  fallimentari
andrebbero  a  sostenere  l'impresa,  rendendo  possibile  in maniera
ancora  piu'  incisiva il risanamento, tanto che autorevole dottrina,
sia  pure  per  altri fini (la concorrenza a livello comunitario), ha
ipotizzato   l'introduzione  di  uno  strumento  atto  a  falsare  la
concorrenza  fra  le  imprese,  ed  a  mantenere  sul mercato, con un
ausilio   decisamente  «anomalo»,  imprese  altrimenti  destinate  ad
esserne espulse.
    E'  evidente,  poi,  che  un tal ragionamento involgerebbe, quasi
certamente,  anche  profili di violazione delle regole comunitarie in
materia  omologa  (in  particolare  art. 3, comma 1, lett. g, nonche'
artt. 81  - 89 Trattato), o in materia di misure costituenti aiuti di
Stato, ma tale investigazione esula dal campo d'indagine prefissato.
    3.  -  Assunta  per incostituzionalita' dell'art. 6, comma 1-ter,
legge Marzano con area ai principi di cui all'art. 3 Cost.
    La  norma  oggetto  del  sospetto  di  costituzionalita'  prevede
testualmente  che  «i  termini  stabiliti  dalle  disposizioni  della
sezione  III  del  capo  III  del titolo secondo del regio decreto 16
marzo 1942, n. 267, si computano a decorrere dalla data di emanazione
del  decreto  di  cui  al  comma  2 dell'art. 2. Tale disposizione si
applica  anche  in  tutti  i  casi  di conversione della procedura in
fallimento.».  Si tratta all'evidenza del decreto con cui il Ministro
provvede all'ammissione dell'impresa alla procedura d'amministrazione
straordinaria ed alla nomina del commissario.
    Viceversa  l'art. 49,  comma  2,  legge  Prodi bis fa decorrere i
medesimi  termini e, quindi l'inizio del c.d. periodo sospetto, dalla
dichiarazione  dello  stato d'insolvenza e, quindi, da un momento ben
successivo rispetto a quello indicato dall'art. 6, comma 1-ter, cit.
    La  anticipazione attuata da tale ultima disposizione legislativa
si presenta del tutto ingiustificata ed irragionevole per quanto gia'
detto  in  precedenza  circa  i  rapporti tra la legge Prodi bis e la
legge  Marzano, quindi, foriera di una questione di costituzionalita'
non  manifestamente  infondata  rispetto  alla violazione dell'art. 3
della Costituzione.
    Tale  questione,  poi,  si  mostra ancor piu' evidente laddove si
consideri  l'ultimo  periodo  della  norma,  ossia  l'ipotesi  in cui
avvenga    la    conversione    della   procedura   d'amministrazione
straordinaria   in  fallimento.  Ancor  piu'  palese  si  mostrerebbe
l'irragionevole  differenza  di  decorrenza dei termini in situazioni
assolutamente  eguali,  non  giustificando la diversita' di regime il
fatto   che  nel  nostro  caso  si  perverrebbe  al  fallimento  dopo
l'infruttuoso esperimento del salvataggio dell'impresa.
    4. - Assunta incostituzionalita' del combinato disposto dell'art.
6,  comma  1,  e  dell'art. 4-bis,  comma  10,  d.l.  n. 347/2003 per
contrarieta' ai principi di cui all'art. 42 Cost.
    Discende  dai  principi  generali  in  materia  fallimentare che,
qualora  il  commissario  o chi per lui, dovesse risultare vittorioso
nell'esperimento  dell'azione  revocatoria fallimentare, il creditore
soccombente  diverrebbe  titolare  di  un  corrispondente  diritto di
credito,  d'ammontare  pari  a quello della soccombenza, che potrebbe
far valere ex art. 7, l.f. nei confronti della Procedura. Inoltre non
si  dubita  che  il  credito restitutorio sorgerebbe dopo l'effettivo
pagamento  effettuato  dal  creditore  in  esecuzione  della sentenza
d'accoglimento.
    Nel  Programma  di  ristrutturazione approvato dal Ministro (cfr.
pag.  153)  si  legge  che  «i  soggetti eventualmente soccombenti in
revocatoria    avranno   diritto,   ai   sensi   dell'art. 71   legge
fallimentare,  al  riconoscimento  del  loro  credito,  soggetto alle
modalita'  della  falcidia  concordataria,  cosi' come risultante dal
concordato   approvato».   Tale  affermazione,  tuttavia,  non  trova
riscontro   nella   legge  Marzano  ed  anzi  e'  contraddetta  dalla
disposizione  dettata dall'art. 4-bis, comma 10, il quale dispone che
in    caso    d'approvazione   del   concordato   «la   sentenza   e'
provvisoriamente esecutiva e produce effetti nei confronti di tutti i
creditori  per  titolo, fatto, ragione o causa anteriore all'apertura
della procedura di amministrazione straordinaria.».
    Posto  che non e' seriamente dubitabile che il credito ex art. 71
l.f.,   scaturente   da   una   postulata   soccombenza   nell'azione
revocatoria, ha fonte da un fatto sicuramente posteriore all'apertura
della procedura, nei suoi confronti non dovrebbe trovare applicazione
alcuna  previsione  del concordato, le quali in tesi possono spiegare
effetti  nei  confronti  dei  soli crediti sorti per titoli anteriori
all'apertura   della   procedura.   Non   essendo   ipotizzabile  una
responsabilita'  dell'assuntore  per  debiti  non  trasferiti  con il
concordato,  debiti  che nella specie non erano neppure ancora sorti,
ne    consegue    una    evidente    non    manifesta    infondatezza
dell'illegittimita'    costituzionale    del    combinato    disposto
dell'art. 6,   comma   1,   e  dell'art. 4-bis,  comma  10  del  d.l.
n. 347/2003,  cosi'  come convertito e successivamente modificato, in
relazione   all'art. 42   della   Costituzione,   in  quanto  che  si
consentirebbe  una  sostanziale  espropriazione  del  credito  di cui
all'art. 71  l.f.,  essendo  evidente che, a tutto concedere, l'unico
soggetto  chiamato  a rispondere nei confronti del creditore potrebbe
essere proprio l'imprenditore insolvente.